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INTERVENTO DI CHITI ALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL 24 GIUGNO

Di 30 Giugno 2011News

È necessario ragionare sui temi della vita interna e della organizzazione del Partito Democratico, ancorandoli ad una riflessione sulla democrazia nel nostro Paese.
Il nostro compito è quello di sconfiggere i populismi e l’antipolitica attraverso il rafforzamento di un partito progressista, riformista e popolare. Al tempo stesso dobbiamo portare avanti quelle riforme delle istituzioni – Parlamento, governo, legge elettorale – sulle quali già abbiamo presentato le nostre proposte.
Si tratta, come ha sottolineato Bersani nella sua relazione, del superamento del bicameralismo paritario, della riduzione del numero dei deputati e senatori, di approvare una nuova legge elettorale che dia la possibilità ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e le maggioranze di governo.
In questo quadro devono essere affrontati i costi della politica.
Occorre sobrietà e trasparenza.
È giusto riorganizzare il trattamento dei parlamentari, facendolo corrispondere alla media esistente nei paesi europei. Ma il discorso non può limitarsi a questo: dobbiamo ampliare il riferimento agli esecutivi, alle authority, ai manager delle società di cui lo Stato o le istituzioni sono partecipi. Insieme non bisogna lasciare spazi aperti all’irrompere, o meglio al consolidarsi, di una tendenza ad una democrazia “di censo” che, per le risorse indispensabili a stare in campo, escluda dalle cariche pubbliche ampi settori di cittadini.
Il finanziamento pubblico dei partiti deve essere mantenuto: così è ovunque in Europa.
È tuttavia indispensabile collegarlo ad un maggior rigore e più efficace trasparenza: penso in primo luogo ad una certificazione esterna – così come fa il Pd – dei bilanci, non più affidabili esclusivamente a controlli interni; e penso alla necessità di condizionarne una parte alla attuazione di strumenti di democrazia interna, alle modalità per la scelta dei candidati alle elezioni ed alla presenza femminile.
Il Partito Democratico ha – come confermano le recenti elezioni amministrative – grandi potenzialità. Oggi è il primo partito italiano. È il pilastro, l’architrave di ogni schieramento progressista, alternativo alla destra. La sua forza è data da un sano pluralismo e non da irrigidimenti, da una cristallizzazione delle componenti congressuali in correnti permanenti. Un esito di questo tipo è quello che produce sui territori divisioni e, talora, protezione di una frammentazione che calpesta le regole e non guarda all’interesse collettivo, perché pensa soltanto ai successivi congressi e a come trasferire o incrementare i voti già ottenuti. Se invece, come penso, le mozioni congressuali non diventano componenti rigide, ognuno di noi nei successivi congressi potrà concordare con altri – con i quali magari ha dissentito nei congressi precedenti – e avranno così un ruolo centrale, a tutti i livelli, gli organismi dirigenti eletti.
Il partito non può essere “ossificato” in una confederazione di correnti, che allontana – non avvicina – le persone dall’impegno con noi.
Per quanto riguarda le cariche di partito, sono convinto non da ora che debbano essere decise dagli iscritti: è già così per i segretari cittadini e provinciali, è giusto che sia così anche per quelli regionali. È giusto liberare i congressi regionali dalla contestualità con quello nazionale. Per il segretario nazionale è giusto che si continui ad eleggerlo con primarie sia di iscritti che di cittadini elettori, non semplicemente per il rilievo del suo ruolo, quanto perché nel nostro statuto è anche il candidato alla guida del governo.
Venisse meno questo tipo di investitura, cioè se le primarie per il candidato alla guida del governo fossero a se stanti, in quel caso per me anche il segretario nazionale dovrebbe essere eletto dagli iscritti.
Una considerazione finale riguardo alle primarie: hanno rappresentato una innovazione positiva nella politica italiana e il Pd ha il merito di averle volute e messe in pratica.
Ora devono essere meglio regolate, messe in sicurezza come dice Bersani, con un approfondimento serio.
La regola deve essere la scelta di primarie, aperte ai cittadini iscritti ad un albo degli elettori, per i nostri candidati nelle istituzioni: dal Sindaco al Presidente del Consiglio.
Anche per i parlamentari le primarie devono rappresentare la scelta guida. Con una legge diversa dal porcellum, come noi vorremmo, fosse anche il ritorno alla legge Mattarella, non ci sarebbero problemi o difficoltà. Se voteremo invece con l’attuale legge dovremo “inventare” forme ampie di reale partecipazione per individuare i nostri candidati, dovendo garantire in liste di decine di persone – come sono oggi le liste bloccate – pluralismo, competenze, presenza femminile, rinnovamento. Certamente dobbiamo saper coinvolgere i cittadini elettori: non farlo ci farebbe partire con il piede sbagliato e potrebbe compromettere il successo del Pd. Da individuare restano le modalità specifiche.
Mi auguro che, con una nuova legge elettorale, le primarie possano poggiare anche sulla legislazione nazionale.
In ogni caso, per me, esiste una differenza tra primarie di coalizione o di partito.
Nei comuni, nelle Province, nelle Regioni vi è l’elezione diretta del capo delle amministrazioni: un candidato, espressione anche di una forza politica di minore consistenza, o non iscritto formalmente a nessun partito, fonda poi il suo ruolo di guida del governo locale sul consenso avuto dai cittadini. Le primarie di coalizione, in questi casi, sono una scelta giusta e funzionano.
Si tratta casomai di fissare un’asticella di voti da raggiungere, in assenza della quale si dovrebbe procedere ad un ballottaggio tra i primi due candidati. A mio giudizio non dovrebbero neanche esserci candidati ufficiali di partito: sono gli elettori del centro-sinistra a decidere.
Diversa è la situazione a livello nazionale: il governo è di tipo parlamentare e di coalizione. Mi pare che in questo momento una tale impostazione sia nel Pd prevalente anche come soluzione futura. Nei casi di un governo parlamentare in ogni paese europeo è pacifico e scontato che a guidarlo sia il leader del partito più grande. È inimmaginabile che un governo parlamentare abbia stabilità se il primo ministro è espressione del secondo o del terzo partito della coalizione. Né corrisponderebbe alla normalità di un paese democratico.
In Germania, ad esempio, i liberali non chiederebbero mai alla Merkel di esprimere loro il Cancelliere, né i verdi ai socialdemocratici.
Per questo motivo non mi pare abbiano grande senso primarie di coalizione per il candidato a guidare il governo: la logica vorrebbe che fosse espressione del Pd; lo statuto afferma che deve essere il segretario. L’organizzazione di un partito, così come l’insieme del sistema dei partiti, deve essere coerente con il modello delle istituzioni di un paese: una Repubblica presidenziale richiede partiti diversi rispetto a una Repubblica di tipo parlamentare.
Sarà bene averlo presente e essere coerenti non piegando, se possibile, i comportamenti alla ragione politica del momento.

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