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Al centro della Scuola (10 agosto 2015)

Di 10 Agosto 2015PD Lazio

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C’è un tema da cui dovrebbe partire chiunque oggi parli di scuola. La dispersione scolastica e cioè: i tanti alunni che, oggi, abbandonano la scuole.
Nel 2014, il 17,6 % dei nostri studenti ha abbandonato la scuola. E in alcune regioni, come le nostre due isole maggiori, la percentuale è arrivata al 35-36 per cento (fonte: Tackling Early Leaving from Education and Training in Europe, Eurydice-Cedefop pdf).
Perché abbandonano? Ma soprattutto: come si fa a impedirlo? Perché sappiamo bene che c’è uno stretto legame tra abbandono scolastico e disoccupazione giovanile.

Quelle due semplici domande sono in realtà difficilissime da formulare. Quante volte le abbiamo trovare nelle centinaia di pagine di stampa dedicate alle proteste contro la riforma della scuola appena approvata, e conosciuta come La buona scuola? Chi lo sa alzi la mano, viene da dire. Azzardo una risposta: le abbiamo trovate poco, anzi zero volte.
Abbiamo letto molto, moltissimo dei “presidi sceriffi”, abbiamo letto poco, pochissimo della dispersione scolastica.
E invece il problema vero sta lì, in quel 17,6 % di alunni che oggi abbandonano la scuola.
Perciò ripeto: perché? E come si fa ad impedirlo? E provo a rispondere rapidamente.

1) Il perché.
Fino a ieri, la nostra scuola ha funzionato su un modello pienamente ottocentesco, che trasmette un sapere logocentrico, cioè formale e astratto, basato sulla lezione dalla cattedra. Un sapere che oggi, nella nostra società di massa, è classista, perché esclude chi arriva a scuola senza avere già, per famiglia, gli strumenti culturali adatti.
Ancora negli anni Cinquanta del ‘900, la cultura della popolazione italiana, di stampo contadino, si formava fuori dalla scuola, in quella che è stata chiamata  “bottega familiare”. Lì, nella bottega familiare, si apprendeva il «sapere come saper fare e sapersi orientare nel mondo delle relazioni» con gli altri.
In quei decenni, le migrazioni interne verso le città industriali hanno dato agli italiani ex-contadini già adulti lavoro e stipendi più alti, ma i loro figli hanno trovato «scuole assolutamente incapaci di capire cosa potessero e dovessero fare dinanzi ai nuovi arrivati» (T.De Mauro, La cultura degli italiani, 2004, p. 10). La scuola ottocentesca non era fatta per la scolarità di massa, proponeva e assicurava livelli formali di conoscenza, ma non era in grado di assicurare anche una crescita educativa integrale che offrisse competenze e valori.

2) Come si fa ad impedire l’abbandono scolastico.
Cambiando la scuola ottocentesca, progettando una scuola incentrata sull’apprendimento destinata a tutti i giovani italiani, compresi i “nuovi” giovani italiani che oggi arricchiscono la struttura socio-culturale attuale, provenendo da Paesi lontani e non europei. È questa nuova scuola l’obiettivo dell’autonomia scolastica.
Ma l’autonomia si realizza soltanto con investimenti adeguati, investimenti sui docenti e investimenti su strumenti e strutture.
Perciò, smettere di tagliare il finanziamento per la scuola. Smettere di tagliare i posti di insegnante e tornare a investire forte sulla loro formazione e sul ruolo primario e insostituibile che hanno nel progettare i modi dell’educazione integrale dei loro allievi, direi meglio: della massa dei loro allievi.

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Chi è Raffaella Petrilli?

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Raffaella Petrilli è Professore Associato di Teoria e Filosofia dei Linguaggi presso l’Università della Tuscia (Viterbo)

Qui il suo curriculum professionale completo

Raffaella è stata componente della Direzione regionale del PD Lazio e responsabile “Saperi, università e ricerca” nella segreteria del PD Roma guidata da Lionello Cosentino

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